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Comunicazione digitale e no profit

I nuovi media hanno cambiato radicalmente le nostre abitudini e il modo in cui vengono coinvolti volontari, donatori, sostenitori, pubbliche amministrazioni e aziende. 

Come si informavano i Baby Boomers, nati tra il 1946 e metà degli anni Sessanta?

Avevano principalmente tre input: guardavano la tv, leggevano i quotidiani cartacei e parlavano molto al telefono. Quando rientravano a casa dal lavoro, magari dedicavano una mezz’ora alla lettura della posta cartacea che ricevevano in grande quantità. I loro amici e colleghi usavano per lo più le stesse fonti, sia per tenersi aggiornati sia per intrattenersi. Tutti guardavano le stesse pubblicità. Se si voleva raggiungerli, era abbastanza semplice: si poteva trovare il loro numero di telefono nell’elenco e chiamarli a casa o al lavoro, fare pubblicità sui giornali o durante la loro trasmissione preferita, oppure mandargli una lettera.

 

Young woman helping old man to stand up

 

Come ci informiamo oggi?

Non parliamo molto al telefono, possiamo identificare le chiamate e scegliere a quali rispondere: se il numero è “sconosciuto”, a volte preferiamo non prendere la telefonata. Leggiamo quasi esclusivamente la posta elettronica, filtrandola attraverso regole specifiche e cancellando quotidianamente centinaia di email che non ci interessano. Non leggiamo i quotidiani cartacei, ma ci accontentiamo della loro versione on line e guardiamo la televisione meno di prima, mentre facciamo altre attività. I nuovi media stanno soppiantando i vecchi e noi adattiamo le nostre abitudini senza troppa fatica.

 

Double exposure of business man hand working on blank screen laptop computer on wooden desk as concept

 

Chiaramente questi cambiamenti sono trasversali ai diversi settori di mercato e riguardano anche le organizzazioni no profit, le pubbliche amministrazioni e il mondo dell’impresa, soggetti che, per creare awareness, utilizzano in molti casi un tipo di comunicazione tradizionale, ovvero diretta da uno-a-molti. Inviano lettere a casa, organizzano convegni ed eventi, comunicati radio e spot tv. In questi anni, però, in molti si rendono conto che l’efficacia di questi media si sta riducendo in modo progressivo, perché è sempre più difficile raggiungere le persone, soprattutto se sono Millennials (nati tra i primi anni Ottanta e la prima metà degli anni Novanta). Ad esempio, la raccolta fondi per anni è stata associata al modello piramidale: sulla cima pochi donatori che corrispondevano importi elevati e, molte volte, il sostegno pubblico. Poi sono arrivati gli sms solidali, che hanno ampliato la base dei donatori, privilegiando la quantità alla relazione, stimolando la donazione occasionale.

 

Comunicazione sociale e media digitali

 

 

Oggi le associazioni non profit, che prosperano anche grazie ai nuovi media, rivolgono sempre di più la propria attenzione alla base della piramide. Creano relazioni individuali, condividono storie, danno le informazioni che la base richiede. Così i singoli rapporti si evolvono e alcuni donatori dalla base si spostano gradualmente verso la cima della vecchia piramide: dalle donazioni occasionali passano a quelle periodiche, per poi aumentare gli importi donati.

 

Team of young volunteers picking up litter in the park

 

La tecnologia ha avuto un ruolo fondamentale in questo cambiamento: il nostro bisogno di essere connessi è sempre più forte, anche per seguire le cause che ci interessano. È proprio l’affinità con la mission dell’organizzazione che porta le persone ad agire. Per questo associazioni, amministrazioni pubbliche e aziende che interpretano al meglio il cambiamento, hanno modificato radicalmente la propria comunicazione digitale. Molte di loro fanno formazione sulle tematiche che gli stanno a cuore, informano sulle proprie attività e insegnano a raccontare storie.

Oggi il compito di chi si occupa di comunicazione sociale e no profit è quello di dialogare con i propri sostenitori e di connettersi a donatori e volontari, nel modo in cui loro preferiscono.

 

Stop Corruption written on the road

 

Questo vuol dire adattare il proprio messaggio al nuovo medium e ai diversi canali, passare dal “quanti” al “chi” lo riceve, dal farsi vedere al farsi trovare, dalla massa alla nicchia, dall’interrompere al chiedere il permesso di comunicare.

 

Pupils raising their hands during class at the elementary school

 

Fin da bambini ci viene insegnato che “è maleducazione interrompere”, eppure è quello che fanno molti media tradizionali. Le telefonate commerciali che non vorreste ricevere vi interrompono mentre state facendo altro; la posta elettronica è piena di messaggi che non vi interessano, ricevuti da persone che non conoscete, ovvero spam; gli spot televisivi interrompono il film o il programma che state guardando, proprio sul più bello.

 

Hand touching tablet pc, social media concept

 

Questa è una comunicazione da uno-a-molti, centrata sul marketing e figlia dei mass media. La stessa metodologia viene applicata da molti anche sul web: si clicca un tweet che preannuncia un argomento interessante, si viene portati al sito di destinazione ma, prima di leggere qualunque cosa, una squeeze page  blocca la navigazione (magari per diversi secondi). Solo in seconda battuta, se si è deciso di aspettare, verrà concesso di leggere quello che effettivamente interessa. Un’esperienza utente piuttosto fastidiosa.

 

Stop ADS - Red Sign Painted - Open Hand Raised, Isolated on White Background

 

Ma è davvero una buona tecnica quella di inviare messaggi che non interessano alle persone che raggiungono? Probabilmente no, eppure molte organizzazioni non profit, molte imprese e pubbliche amministrazioni comunicano ancora in questo modo.

Proviamo a immaginare ora come si presenta la comunicazione digitale di un soggetto che, invece di farsi vedere, mira a farsi trovare.

Il responsabile comunicazione di un’associazione cerca su Google: “Come generare lead per il no profit usando il blog”. Si aspetta di trovare suggerimenti sull’ottimizzazione del blog, sui fondamentali della lead generation, su landing page e call-to-action.

 

Image of young pretty woman changing reality

 

Il primo risultato è una guida per il non profit blogging che spiega come organizzare la lead generation. Clicca sul risultato e si ritrova sull’articolo che voleva leggere (senza essere interrotto). Trova informazioni pertinenti di carattere educational che spiegano, a un principiante, come usare il blog di un’organizzazione no profit per generare nuovi contatti. Alla fine dell’articolo trova un link a un altro post: “8 opportunità per il tuo blog no profit”. Viene suggerito anche un webinar gratuito: ottimizzare 60 landing page in 60 minuti. Su quest’ultima pagina c’è anche la possibilità di scaricare un ebook gratuito: Come far crescere e scalare il tuo blog no profit. Si può scaricare anche un template per la creazione e l’organizzazione del calendario editoriale. Tutte le risorse si rivelano utili e gratuite. Da un lato permettono di imparare cose nuove, dall’altro aiutano a risolvere problemi pratici. Così l’utente comincia a provare un senso di fiducia per questo blog e per l’associazione che ha creato i contenuti. Forse non diventerà loro cliente ma, scaricando l’ebook, ha dato l’autorizzazione a trattare i propri dati personali e a comunicare con lui. La prossima volta che si troverà ad affrontare un problema sul suo blog, probabilmente visiterà nuovamente questo sito.

 

Friendly handshake - isolated over a white background

 

La maggior parte delle persone, prima di prendere una decisione (sia in merito all’associazione a cui donare, sia all’acquisto di un prodotto), preferisce informarsi on line con articoli redazionali, piuttosto che attraverso la pubblicità. Non vogliono qualcuno che gli venda qualcosa, ma preferiscono documentarsi, saperne di più sul proprio problema, sul servizio o sul prodotto.

Per questo le organizzazioni non profit dovrebbero abituarsi a rafforzare le conoscenze del proprio pubblico, ascoltandolo, educandolo e dialogando con lui.

 

Cute teacher and a pupil making an addition on a blackboard

 

Gli strumenti più utili per farlo sono: seo, blogging, white papers, webinar, report tematici... A differenza dei media tradizionali, i nuovi media permettono di mettere al centro l’audience dell’associazione, senza interromperla. Anzi, al pubblico vengono fornite proprio le informazioni che sta cercando: quelle che lo aiutano a risolvere il problema che sta affrontando o che soddisfano la sua curiosità. L’obiettivo primario è creare un’esperienza positiva per gli utenti e favorire il dialogo con loro. Per questo i contenuti dovrebbero essere la risposta alle esigenze espresse dal pubblico, per costruire con lui una relazione di fiducia, idealmente profonda e duratura, basata sulla credibilità e sull’affinità. Comunicare in questo modo vuol dire diventare il contenuto che il nostro pubblico sta cercando, far parte della conversazione. Perché questo accada, le organizzazioni dovrebbero condividere contenuti interessanti e utili. Contenuti ideati e creati pensando ai loro sostenitori ideali. In questo modo saranno questi stessi sostenitori ideali a cercarle, a trovarle e ad avvicinarsi a loro. L’obiettivo, in ultima analisi, non è tanto quello di attirare quante più persone possibili, quanto di attirare quelle giuste. Quelle a cui potremmo dare delle risposte oppure offrire un servizio. Quelle che hanno bisogno di comprendere meglio un tema e quelle che hanno voglia di offrire un proprio contributo personale.

 

Top view of people joining hands together as a symbol of partnership

 

Per costruire relazioni, i contenuti hanno un ruolo fondamentale perché le informazioni rafforzano la conoscenza delle persone, permettendogli di fare le proprie scelte in modo più consapevole. Probabilmente, quando sarà il momento di donare, di dedicare il proprio tempo libero o di supportare un’organizzazione, verrà scelta quella che si è dimostrata più utile e affidabile in fase di ricerca.

Mettetevi dall’altra parte e pensate al vostro processo decisionale, nel caso in cui vogliate fare una donazione a un’associazione. Probabilmente in alcuni casi deciderete per sentito dire, o per passaparola, o anche perché sollecitati da un testimonial o da un annuncio pubblicitario in grado di animare le vostre emozioni. Ma se state cercando un’associazione di cui fidarvi, a cui donare con continuità, a cui affidare un po’ del vostro reddito o, ad esempio, a cui destinare il 5 per mille, probabilmente partirete dalla ricerca di informazioni: vorrete capire cosa è meglio per voi, qual è la storia dell’organizzazione, quali risultati ha raggiunto nel tempo, se è trasparente e affidabile. Magari vorrete capire se il suo approccio al problema è simile al vostro. Non sarà un fundraiser o una pubblicità a trasferirvi le informazioni che state cercando. Saranno gli strumenti ben utilizzati e predisposti a costituire la risposta, facile e accessibile, ai bisogni dell’utente.

 

Young man in a protective suit touches to the sprout. post-nuclear future

 

Oggi è chi sceglie che detiene il potere, non chi possiede i media (perché ormai possediamo tutti dei media). Per questo, per entrare in contatto con la persona che ci cerca, è importante fornirle le informazioni di cui ha bisogno, trasferendole le risorse che la mettano in grado di partecipare alle attività più adatte a lei. Comunicare in questo modo significa dare le risorse migliori, nel momento migliore, ai contatti migliori. Una differenza significativa rispetto alla comunicazione di massa che invia lo stesso messaggio a un pubblico sostanzialmente indifferenziato.

Ma come può un’organizzazione non profit cambiare il proprio modo di comunicare?

Concentrandosi sulle persone e utilizzando una metodologia definita.

Fasi_Metodologia_Inbound

La prima fase riguarda l’attrazione degli sconosciuti, perché diventino visitatori del sito o dei canali social. Divenire autorevoli referenti degli utenti per le tematiche al centro dell’associazione, trasforma il visitatore occasionale in un frequentatore, più o meno assiduo. Il passo successivo è quello dei lead, ovvero quando il visitatore si trasforma in un contatto di cui conosciamo nome e cognome o più semplicemente l’email, un visitatore che ha espresso l’intenzione di iniziare una relazione, accordando la sua fiducia ed esprimendo la propria stima o interesse. L’ultimo passo può condurre gli utenti a quella che chiamiamo tecnicamente conversion, ovvero compiere un’azione specifica che vorremmo da lui: dalla donazione al tesseramento, dall’iscrizione a una newsletter alla richiesta di volontariato, e altro ancora. Con la conversione in realtà il processo non è chiuso, poiché comincia la fase importante della relazione, che si alimenta con il dialogo, l’ascolto, la conversazione con le persone, in modo che continuino a essere donatori, volontari o anche solo simpatizzanti, interessati e attenti a quanto facciamo e diciamo.

 

Man people collage faces double exposure

 

In rete ci sono circa 3 miliardi di persone ma non tutti sono potenziali sostenitori della vostra organizzazione. Sta a voi capire quali sono i più interessanti e come dialogare con loro. Alcuni preferiranno altre organizzazioni, altri si fideranno di voi. Alcuni li conquisterete per sempre, altri li sedurrete solo per un po’. Molto dipenderà da voi e dalla vostra capacità di dialogo, come in un’amicizia o in un rapporto di coppia. E, nonostante tutto, qualcuno vi abbandonerà; ma se avrete qualcosa da dire, e saprete dirlo bene, avrete sempre e comunque qualcuno ad ascoltarvi e a intervenire, mettendoci del suo.

C’è poi un altro aspetto che riguarda ogni iniziativa di comunicazione: l’analisi dei dati. Ogni volta che completate un’attività, analizzatene i risultati, confrontateli con gli obiettivi prefissati, per poi migliorare la strategia di comunicazione digitale.

 

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Ecco due esempi di come la comunicazione sociale sia cambiata.

Flashmob di T-Mobile

 

 

Centinaia di comparse istruite ad hoc furono fatte sedere nei bar che si affacciavano dai diversi piani sull’atrio di un centro commerciale. Una bottiglietta di plastica venne lasciata cadere appositamente per terra vicino a un bidone della spazzatura. La videocamera cominciò a riprendere le persone che vi passavano vicino, anche urtandola involontariamente con i piedi, ma senza raccoglierla. Finché non sopraggiunse una ragazza che, accortasi della bottiglietta per terra, la raccolse e la gettò nel bidone. Immediatamente tutti gli avventori si alzarono in piedi e proruppero in uno scrosciante e prolungato applauso, con grande stupore della fanciulla, convinta di non aver fatto nulla di particolare. Il video fu semplicemente postato su YouTube, diventando ben presto virale. L’abilità nel produrre video capaci di circolare rapidamente sulla rete è stata in tempi recenti sempre più spesso prerogative di onlus e ong in tutto il mondo, in particolare delle più famose come WWF, Amnesty International, Greenpeace.

 

Supermercati Intermarché

 

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Riflettendo sul fatto che la frutta e la verdura imperfette venivano gettate via dai produttori perché ritenute invendibili, hanno cominciato ad acquistare a basso costo le patate bitorzolute, le carote storte, le arance mal riuscite, per rivenderle ai consumatori a un prezzo scontato, dimostrando che, al di là del brutto aspetto, le caratteristiche organolettiche e nutrizionali sono eguali. Proponendo per questo anche succhi di frutta e zuppe confezionati a base “di carote mosce” o “di arance orribili”, ovviamente sempre a prezzo ridotto. L’iniziativa è stata promossa con una massiccia campagna di comunicazione integrata con impiego di affissioni, tv, radio, stampa, pr e social media. Corner dedicati agli “inglorious fruits and vegetables” sono stati allestiti in tutti i punti vendita. I risultati: le citazioni di Intermarché sui social media si sono accresciute del 300% nel primo mese, in ogni punto vendita sono state vendute una media di 1,2 tonnellate di prodotti, aumentando del 24% la presenza media nei supermercati del gruppo, mentre cinque delle principali catene concorrenti hanno lanciato linee similari. Un classico esempio di opzione triple win: i produttori agricoli hanno trovato nuove fonti di ricavo, i consumatori hanno acquistato buoni prodotti spendendo molto meno, la catena ha aumentato le vendite complessive, accrescendo inoltre la sua reputazione sociale.

Un esempio che fa capire quanto si possa fare in futuro in campo sociale – e non solo – a patto di sfruttare la tecnologia proponendo contenuti e storie tanto utili quanto coinvolgenti.

Oggi la grande sfida della comunicazione sociale (di chi la promuove e dei suoi contenuti) è dunque quella di trasformarsi da strumento di rivendicazione di nicchia a espressione di un appassionante e lungimirante immaginario collettivo. Da scomodo rumore di fondo a diffuso messaggio popolare, da ambiziosa visione per pochi a realistico modello di sviluppo per molti, da un insieme di messaggi che ruotano attorno al tema del “sacrificio”, a un susseguirsi di spunti che ispirano e animano il sogno e il desiderio di un mondo migliore.

Il fatto che negli ultimi anni siano stati personaggi come Obama o Papa Francesco, straordinari “strumenti” di comunicazione sociale, a brillare più delle rockstar è un segnale che questo cambiamento, se non probabile, almeno è possibile.

Per approfondire tutti gli aspetti di questo cambiamento, vi invito a leggere "Comunicazione sociale e media digitale" scritto anche dal presidente di Pubblicità Progresso Alberto Contri.

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